Quanti pezzi compongono una vita? Infiniti frammenti di ricordi, immagini, odori ed emozioni che riempiono la nostra memoria e influenzano le persone che saremo. Impossibile comprendere l’incidenza che ogni piccolo e apparentemente insignificante evento del passato avrà sul risultato finale; ma, indubbiamente, questi microscopici pezzetti sparsi nella nostra testa e combinati nei modi più impensabili, finiranno per comporre il puzzle finale del nostro io.
Stefano Simeone, giovane e talentuoso autore di Semplice (edito da Tunué nel 2013), tenta di bissare il successo di un anno prima, con Ogni Piccolo Pezzo, un graphic novel sorprendentemente intimo e intenso, col quale racconta la crescita e la maturazione di un gruppo di amici in un piccolo centro di provincia. Un paese come tanti, nel quale il tempo sembra scorrere più lentamente (specie per chi decide di rimanere) e in cui si muovono i nostri protagonisti. Un racconto che dura il tempo di una vita e che vive attraverso i ricordi di cinque bambini divenuti improvvisamente grandi, quasi senza accorgersene.
Proprio il tempo è un elemento essenziale della narrazione di Simeone. In Ogni Piccolo Pezzo, infatti, non esiste ordine cronologico dei fatti, ma un apparente disordine narrativo che cela, in realtà, una logica impeccabile e assolutamente efficace. L’accavallamento dei ricordi dei protagonisti, tanto sul piano narrativo che su quello visivo, pone in immediato confronto le diverse età dei personaggi, conferendogli una caratterizzazione e una profondità davvero notevole.
Un racconto tenero nel quale non possiamo fare a meno di commuoverci, rivedendo noi stessi da bambini, con i traumi, i difetti, le ossessioni e le paure che ci porteremo dietro per un’intera esistenza, ma che segneranno anche indelebilmente la misura e la forma del nostro essere.
Guardare, attraverso noi stessi da piccoli, ciò siamo diventati e cosa abbiamo abbandonato per strada, è un esercizio doloroso e complesso, nel quale è necessaria una spiccata autocritica. Ma è anche un esercizio essenziale per non perdere la via, per ricordarsi cosa amiamo e a cosa dobbiamo continuare a puntare. Cosa un tempo chiamavamo “felicità” e cosa significa quella parola per noi oggi. Spogliarsi di tutte le sovrastrutture, sociali, caratteriali, religiose. Abbandonare le pose che inevitabilmente assumiamo come difesa rispetto al mondo che ci circonda. Ritornare a sognare, proprio come quando eravamo dei bimbi inconsapevoli della vita. Perché se per un attimo chiudessimo gli occhi e riuscissimo a ritrovare quella ingenua sincerità, forse potremmo davvero vedere con chiarezza e onestà la strada che abbiamo fatto e le persone che siamo diventati.
Leave a Comment