Kill Or Be Killed di Ed Brubaker e Sean Phillips – Demoni e Vigilantismo

Chiunque abbia seguito Ed Brubaker nel corso della sua carriera conosce l’affinità dello sceneggiatore per il genere crime-noir, tipologia di racconto di cui è diventato il miglior esponente in campo fumettistico ed un valido punto di riferimento in ogni media narrativo. Il sodalizio con l’artista Sean Phillips, nuovamente affiancato dalla colorista Elizabeth Breitweiser, ha raggiunto il punto in cui la sperimentazione si fa sempre più intensa, come dimostra il loro ultimo, splendido lavoro: Kill Or Be Killed.

Dylan è un ragazzo dal passato non propriamente sereno, con alle spalle problemi psichiatrici e che cerca di vivere al meglio la sua esistenza. Improvvisamente, si ritrova catapultato in una vita da vigilante, costretto a uccidere periodicamente persone malvagie per poter salvare la propria pelle.

Kill Or Be Killed si rivela essere sia una riflessione sul vigilantismo supereroistico che una sua decostruzione. La narrazione di Ed Brubaker segue, per volontà precisa dello stesso autore, gli stessi stilemi di seriali di lunghissima data come Saga, Invincible e The Walking Dead, aumentando, capitolo dopo capitolo, una certa meta-analisi su questo tipo di storytelling, adoperando però un metro realistico e totalmente anticlimatico.

Per quanto la narrazione in prima persona sia uno strumento caro a Brubaker, così come al genere Noir, gli eventi di KOBK fanno subito pensare a Dylan più come ad una perversa versione di Peter Parker, uno Spidey sporcato dal trauma, dal cinismo e dalla violenza tipici dello stereotipo del vigilante, piuttosto che al personaggio principale di un Noir. Le riflessioni del protagonista, la sua voce narrante, ricordano vagamente il potere del soliloquio dell’uomo-ragno.

A marcare ulteriori punti in comune, così come grosse distanze, dai fumetti precedentemente citati, Ed Brubaker recupera modalità narrative in cui tutto si amplia numero dopo numero, mantenendo però ben confinati nelle 22 pagine gli eventi del capitolo. Una sorta di ciclico mantenimento dello status quo che ha il suo emblema metafumettistico nella frequenza con cui Dylan è costretto ad uccidere per sopravvivere: una volta al mese.

In Kill Or Be Killed la violenza perde i tratti attraenti ed estetizzati tipici della serialità supereroistica, mostrandosi reale, viscerale e rapida. Il momento della morte è fulmineo, mentre le sue conseguenze sono eterne. Se da un lato il vociare di Dylan è sovrabbondante, dall’altro la violenza è brutale ed istantanea. Il lavoro di smitizzazione operato da Brubaker & Phillips è il sintomo di un chiaro distacco e di una volontà metanarrativa ben precisa, tesa a distanziarsi dalle consuete meccaniche di spettacolarizzazione.

Dylan e i personaggi di Kill Or Be Killed non presentano caratterizzazioni nette, si mantengono sfumati e pieni di contraddizioni, in pieno stile Brubaker e in contrasto con quelli che, di solito, sono i personaggi del vigilantismo supereroistico. La penna dell’autore fa leva sulle ampie scale di grigio presenti nella distinzione tra giusto e sbagliato, sia nella psiche di Dylan che nelle nostre convinzioni.

Il team artistico composto da Sean Phillips ed Elizabeth Breitweiser lavora totalmente per la narrazione, mantenendo semplice la struttura della pagina, resa molto più claustrofobica per l’occasione, e posizionando caption e baloon quasi sempre in alto a partire da sinistra per rendere il tutto ancora più scorrevole. In Kill Or Be Killed è notevole la quantità di vignette o intere pagine dedicate alle folle, gestite egregiamente dall’artista Phillips, al suo picco in queste scene ed in quelle di violenza. Elizabeth Breitweiser utilizza in KOBK una palette più cupa rispetto a quella di The Fade Out e da il meglio di sé regalando al lettore una neve splendida.

Kill Or Be Killed è l’ennesima prova dello sconfinato talento di Ed Brubaker e Sean Phillips, autori che, al loro peggio, sfornano “soltanto” ottimi fumetti. In questo caso il team creativo ha prodotto un classico istantaneo.

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