Il percorso – ancora lungo – che ci separa dalla “nuova vita” di Dylan Dog procede fra alti e bassi, con storie che non hanno alzato (o hanno alzato di poco) lo standard qualitativo della testata. Anche Dylan Dog #329 conferma questa tendenza, con una storia lenta ma apprezzabile dal punto di vista grafico.
La storia di questo mese si può riassumere in pochissime parole: eccellente lavoro grafico, mostruosa lentezza della trama. Fondamentalmente la recensione potrebbe finire qui, ma andiamo a vedere i motivi che mi spingono ad etichettare questo #329 in questo modo. Partiamo dall’aspetto positivo: i disegni di Giovanni Freghieri; un maestro indiscusso, forse inserito nel comparto degli artisti di questa storia perché c’era a monte la consapevolezza di dover mandare in stampa un prodotto non eccelso. Al di là dell’ottimo (come sempre) lavoro chiaroscurale del disegnatore, tralasciando l’ottima caratterizzazione grafica dei personaggi e il tratto mutabile (duro e marcato oppure morbido, a seconda della funzione da svolgere), mi ha colpito molto in positivo l’impostazione delle tavole; non solo la classica tavola orizzontale, ma anche qualche tavola allungata, molto più alta che larga. In questo modo l’autore ha potuto aumentare alcuni effetti grafici della storia, accentuando anche i pochi aspetti positivi della narrazione. Altro punto a favore dei disegni di Freghieri sono i disegni delle parti “oniriche” della storia, nell’Horror Club giustamente definiti molto simili a quelli di Sin City. Il contrasto netto tra il bianco e il nero, le figure abbozzate dall’estremo chiarore degli ambienti, ma non per questo il tratto era confuso o incerto. Insomma avete capito che ritengo un fortissimo incentivo il lavoro grafico di Freghieri su questa storia.
Passiamo alle note dolenti, che però non sono disastrose come in altre storie dei mesi passati. La storia di Giovanni Di Gregorio di per sé non sarebbe stata male, se non fosse per il problema del ritmo davvero inesistente. Forse avrei apprezzato maggiormente la narrazione se si fosse trattato di una storia breve inserita in qualche speciale, perché davvero la storia presenta dialoghi troppo lunghi e pagine e pagine di nulla cosmico, con personaggi non molto definiti (vero mistero della storia: hai tutto quello spazio da riempire e i tuoi personaggi sono delle “macchiette”? Autentici cliché messi su carta). La bella diva, il comico esuberante, il musicista celebre e la cantante trasgressiva: un cliché dopo l’altro, ma non sono cliché come quelli del #328, dove avevamo visto una consapevolezza nell’uso di questo artificio narrativo; questa volta la narrazione procede stanca e non sfrutta potenzialità che la storia racchiudeva in sé. Un vero peccato.
Prima di concludere, due parole sul finale sono d’obbligo. Davvero ogni storia di Dylan deve risolversi con l’apparizione di Satana? Nell’ultimo anno quante volte è stato usato questo espediente? Pare che ogni volta che uno sceneggiatore non sappia come concludere la sua storia, ecco che ci appiccica il Demonio o una figura a lui affine. Ma la cosa peggiore è il fatto che ogni maledettissima volta il Diavolo si rivolge a Dylan come se fosse un suo vecchio amico e dice sempre la solita frase del tipo “Tu non mi conosci, ma noi ti teniamo d’occhio” o simili. Credo che alla Bonelli abbiano un foglietto con il “finale standard”, da inserire ogni volta che non si sa come finire la storia. Ancora una volta quindi un buco nell’acqua per la serie che più amo della Bonelli. Per questo mese è tutto (e anche troppo), ci leggiamo la prossima volta.