Sono molti i nomi utilizzati dal sottoufficiale polacco Jan Kozielewski (1914-2000) nel corso della sua incredibile avventura; ma certamente quello di Jan Karski è lo pseudonimo col quale questo eroe della Resistenza Polacca verrà ricordato dal suo paese e dal mondo intero. Una storia, quella di Karski, che per varie ragioni – principalmente politiche – non ha avuto la risonanza che meritava o quella che lo stesso Jan sperava avrebbe avuto; e che ci viene oggi rinarrata da Marco Rizzo e da Lelio Bonaccorso nel pregevole volume edito da Rizzoli Lizard e dal titolo Jan Karski: L’uomo che scoprì l’Olocausto.
La storia
La storia di Jan inizia a Varsavia il 23 agosto del 1939. Il giovane sottoufficiale, impiegato presso il Ministero degli Esteri polacco, si gode la sua posizione di prestigio all’interno della pubblica amministrazione del proprio amato paese. Nulla potrebbe fargli presagire quanto sta per accadere nella sua vita. Una volta rientrato a casa dopo una festa sfarzosa, infatti, a Jan viene consegnato un ordine segreto di mobilitazione: tutto l’esercito polacco disponibile deve muoversi alla volta di Oswiecim, un piccolo centro situato nelle immediate vicinanze del confine polacco-tedesco. Pochi giorni più tardi – esattamente il 1° settembre del 1939 – i tedeschi invadono la Polonia, incontrando una resistenza assolutamente inadeguata rispetto alla Wehrmacht tedesca e alla sua organizzazione militare. Oltre alla celebre Luftwaffe (aereonautica militare) – vero fiore all’occhiello dell’esercito di Hitler – i tedeschi si avvalgono di una migliore organizzazione sul piano strategico e militare e di tattiche terrestri e aeree assolutamente innovative rispetto al più recente passato. Si tratta, insomma, di una battaglia assolutamente impari. Dopo un cruento e inaspettato bombardamento, a Jan e agli altri sopravvissuti, non resta che il ripiegamento e la fuga verso l’interno del paese, nella speranza di potersi riunire con la gran parte dell’esercito polacco.
Ma le cose, purtroppo, sono messe molto peggio di come Jan e compagni suppongono. L’occupazione della Polonia da parte dell’esercito tedesco è supportata dalla contemporanea invasione da parte dei sovietici; che, scesi a patti con il nemico ideologico di sempre (accordo Molotov-Ribbentrop), occupavano l’altra esatta metà del suolo polacco. Ed è così che il gruppo di soldati polacchi in fuga viene fatto prigioniero dagli occupanti russi e deportato in un campo di lavoro in Siberia. La vita di Jan, a distanza di solo pochi giorni, sembra davvero molto distante da prima. Gli sfarzi dei salotti altolocati e i discorsi accademici tra intellettuali sono solo un vago ricordo. La realtà attuale lo sta mettendo faccia a faccia con la morte.
Jan è consapevole della gravità della situazione. La sua istruzione e l’interesse verso la politica gli permettono di comprendere appieno ciò che sta accadendo. Hitler non è un invasore come tutti gli altri, e il suo scopo non è certamente solo quello di assoggettare i polacchi al proprio giogo. Il Fuhrer vuole schiacciare la Polonia e spazzare via il suo spirito nazionale; cancellare il retaggio culturale di un intero popolo. Tuttavia, proprio l’amore verso la patria dona nuovo vigore al nostro protagonista che, in cuor suo, spera ancora di poter combattere al fianco dei suoi concittadini. Jan, fingendosi un soldato originario di una zona occupata dai tedeschi, riesce a farsi consegnare ai nazisti e, una volta nelle mani dei tedeschi, scappa, facendo ritorno a Varsavia.
Non c’è, però, alcuna battaglia da combattere alle porte della città. Varsavia è caduta il 28 settembre del 1939 ed è ora nelle mani della Gestapo. A Jan non resta che unirsi al movimento clandestino, che presto scoprirà essere direttamente collegato al Governo polacco in esilio.
Inizia da qui una storia appassionante e al tempo stesso incredibile. Una storia che porterà il nostro protagonista ad essere testimone volontario della ferocia dell’occupante nazista e degli orrori della Shoah. Jan si muoverà attraverso la guerra e i paesi occupati, svolgerà ogni tipo di incarico gli sarà richiesto in nome della sua patria. Verrà catturato e torturato più volte, riuscendo in ogni circostanza a mettere in salvo la vita, anche grazie all’aiuto del movimento di resistenza clandestino. Ma non solo: Karski si introdurrà volontariamente nell’inferno del Ghetto di Varsavia e nell’impenetrabile campo di sterminio di Belzec, in modo da essere testimone oculare delle pratiche disumane di cui si stava macchiando l’esercito tedesco e di poter poi riferire tutto questo alle alte autorità inglesi e americane.
La testimonianza
Come accennato in premessa, la storia di Jan Karski non ha avuto la necessaria visibilità nell’immediato dopoguerra. Due le ragioni principali: da un lato, naturalmente, il contenuto del racconto di Jan, che denuncia tanto le condotte dell’esercito tedesco, quanto quelle dei sovietici, alleati nella parte conclusiva della guerra con le forze angloamericane. Ma, soprattutto, perché il racconto di Jan fa luce sull’indifferenza che la politica dei paesi alleati, e quella internazionale in generale, hanno avuto nei confronti dello sterminio di milioni di ebrei in Europa. Jan Karski, infatti, dopo aver assistito con i suoi occhi al prodotto della dottrina antisemita nazista, si offre di farsi portavoce delle comunità ebraiche di Varsavia davanti alle maggiori cariche istituzionali del mondo libero. Al suo grido disperato, tuttavia, non viene dato il giusto rilievo; e il conteggio delle vittime del popolo ebraico al termine del conflitto mondiale sarà assai più drammatico di quanto gli stessi alleati avrebbero mai potuto immaginare.
Il fumetto
Una vicenda come quella di Jan Karski, come detto, non può e non deve essere mai dimenticata. Al pari di tante altre testimonianze degli orrori del nazionalsocialismo tedesco, è necessario scolpire nella memoria questa incredibile storia e fare in modo che possa essere da esempio a quanti più individui possibili. Lo sanno bene Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso, che dimostrano, una volta di più, la loro capacità di trasmettere al lettore le atmosfere e le emozioni più intime di ogni racconto.
Come accade durante la lettura dello splendido Peppino Impastato: Un giullare contro la mafia (sempre della coppia Rizzo-Bonaccorso), è difficile non accorgersi della passione e dell’entusiasmo con i quali il romanzo grafico è stato realizzato. I testi di Marco Rizzo sono crudi ed immediati, ma lasciano spesso spazio alla riflessione tra le righe. L’autore da nuovamente prova delle sue capacità narrative, unite ad una spiccata sensibilità; doti necessarie per potersi confrontare con opere di questa importanza. I disegni di Lelio Bonaccorso, nonostante lo stile fortemente caricaturale, si sposano perfettamente con le atmosfere e le dinamiche espresse o sottese a questa magnifica storia. L’artista dimostra anche una naturale inclinazione alla rappresentazione storica e un’attenta cura per i dettagli.
Come sottolineato dallo steso Rizzo nella postfazione, la storia originale (narrata nel libro La mia testimonianza davanti al mondo dello stesso Karski) ha dovuto subire numerose modifiche per essere adattata ad un volume illustrato di circa 140 pagine. Ma, nonostante la riscrittura di alcuni fatti e personaggi, il valore della testimonianza di Karski è rimasto assolutamente intatto.
In definitiva, Jan Karski: L’uomo che scoprì l’Olocausto è un volume da acquistare assolutamente, sia per la grande qualità dell’opera in sé, che per il valore assoluto della storia e della testimonianza che racchiude al suo interno. La brutalità dell’esercito di occupazione tedesco, i campi di lavoro russi, gli sforzi inauditi delle forze di resistenza, l’agghiacciante principio di responsabilità collettiva, gli orrori dell’Olocausto e soprattutto l’indifferenza del mondo di fronte a tutto questo, devono continuare a vivere nitidamente, tanto nelle memorie di chi le ha vissute, tanto più in quelle dei giovani di tutto il pianeta. Di modo che una tale scelleratezza possa non ripetersi mai più.
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