La questione è subito sul tavolo: le anticipazioni sul Dylan Dog che verrà, descritte da Tiziano Sclavi all’interno dell’horror club mensile, interessano al lettore affezionato molto più della storia dell’albo che ha fra le mani. L’atmosfera nei forum su internet – e non solo – evidenzia un clima di attesa trepidante.
Personalmente, al momento, ho fiducia nella professionalità e nel buonsenso di tutti gli attori coinvolti nel mutamento, anche se devo ammettere che è stata proprio l’esposizione in prima persona del creatore della serie a determinare questo mio cauto ottimismo. Allo stesso tempo non ho ancora un’opinione precisa sul pensionamento di Bloch, ma il fatto che comunque l’ispettore dovrebbe continuare a essere un personaggio ricorrente nella serie, mi fa ben sperare. D’altro canto sono anni che si parla di uno svecchiamento della collana e tale operazione è divenuta ormai improrogabile e imprescindibile. A mio giudizio la questione nasce da due ordini di motivi: il primo è che in quasi trent’anni ormai sono stati scandagliati a meraviglia i temi e gli archetipi che caratterizzano l’immaginario classico del genere horror; il secondo è che Dylan nasce con dei precisi riferimenti culturali e sociali, e con dei gusti molto precisi, dal cinema alla musica. Oggi il mondo è cambiato, basti pensare all’evoluzione del rapporto fra l’uomo e la tecnologia dal 1986 a oggi, e alcune cose che trent’anni fa potevano sembrare vezzi anticonformisti oggi appaiono come orpelli anacronistici. Inoltre considerando sempre il nostro (anti)eroe in rapporto ai mutamenti sociali, ci sarebbe molto di cui discutere anche riguardo al rapporto con i diversi e gli “invisibili”, o ad esempio alla diffusione del vegetarianismo.
Ad ogni modo l’inizio della narrazione avviene in medias res e poi, come è normale che sia, si procede con un lungo flashback. Lo sviluppo della trama, di contro, è uno dei più classici: Dylan viene assunto da una bella cliente e si reca in un paesino costiero nel sud dell’Inghilterra per indagare su degli strani fenomeni. Le indagini sono macchinose, ma non noiose, anche se forse la scelta di inserire un discreto numero di personaggi secondari appesantisce leggermente alcuni dialoghi, e forse devia l’attenzione del lettore.
D’altro canto il finale mi è parso coerente con quanto illustrato in precedenza, ed efficace nel chiudere tutte le linee narrative. Magari un paio di trovate sono un tantino ingenue rispetto al tono della storia, ma queste non hanno assolutamente guastato il gusto della lettura.
Ho letto in giro che i disegni di Giancarlo Alessandrini sono stati messi in discussione, e indubbiamente c’è del vero nel fatto che alcuni dettagli siano migliorabili e che in alcune vignette manchi qualcosa a livello di plasticità e naturalezza. Di conseguenza questo può comportare che alcune sequenze siano sottotono rispetto ad altre. Può essere vero soprattutto nella prima parte della storia, che non presenta la necessità di particolari virtuosismi grafici. Qui forse il disegnatore si è in qualche modo appiattito, non è “entrato” a sufficienza nei meccanismi narrativi e ciò gli ha impedito di lasciare un segno distintivo del suo operato. Tuttavia nella seconda parte, quando anche la storia offre i suoi migliori spunti, Alessandrini riscatta in parte una prestazione non brillante. In particolar modo meritano una menzione speciale le vignette in cui alcuni personaggi si trasformano in lupi.
Tutto sommato ci si trova innanzi a una storia più che altro interlocutoria, sulla quale mi riesce molto difficile esprimere un giudizio definitivo. A suo modo è comunque un numero “storico” che chiude un’epoca e che forse fornisce la primissime anticipazioni su quello che succederà a partire dal mese prossimo. Più o meno è come quando la tua squadra deve giocare un’inutile partita di campionato prima di un derby o di una partita di Champions, fai sempre il tifo ma probabilmente più del risultato della partita ti interessa che nessuno si faccia male o venga squalificato. Ecco, a questo punto speriamo tutti che il mese prossimo Ambrosini (Carlo, non Massimo) segni un grande gol.
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