L’espressione Mexican Standoff, o in italiano, Stallo alla messicana indica una situazione, abusatissima da un certo tipo di cinema, all’interno della quale due o più personaggi si tengono contemporaneamente sotto tiro con armi da fuoco. La più famosa di queste scene è sicuramente quella che ha luogo nel finale dello spaghetti-western Il buono, il brutto e il cattivo, quando gli occhi di Clint Eastwood, Lee Van Cleef ed Eli Wallach si scrutano a vicenda, accompagnati dalla musica del maestro Ennio Morricone e guidati dall’impareggiabile regia di Sergio Leone. Con il passare degli anni tale circostanza è diventata il marchio di fabbrica del citatore più citato di Hollywood, Quentin Tarantino, anche se io mi sento di accostarla soprattutto a un altro grande regista, John Woo. Comunque sia c’è da scommettere che Diego Cajelli, che intitola Mexican Standoff il numero 9 della collana Le Storie, li conosca entrambi molto bene. Tanto più se si pensa che lo sceneggiatore milanese dimostra di trovarsi particolarmente a suo agio quando c’è da cimentarsi con storie basate sull’azione e ricche di colpi di scena.
A causa di una fortuita coincidenza in pochi giorni mi trovo a recensire due sue storie, che sono paragonabili non certo per il genere e l’ambientazione, ma sicuramente per il loro ritmo forsennato. Infatti se si parte dal presupposto che anche in Long Wei l’azione risulta ampiamente maggioritaria rispetto all’introspezione dei personaggi, è necessario – a tale proposito – contestualizzare i diversi casi: se da un lato nella testata dell’Aurea questa scelta era una necessità narrativa, dall’altro lato, sulla collana edita da Bonelli, in molti casi la differenza fra una buona storia e una ottima è stata marcata dalla tridimensionalità dei personaggi principali.
Da questo punto di vista il protagonista, Reyes, incarna il classico archetipo del sopravvissuto che torna per la sua vendetta, come la sposa in Kill Bill o come, molto prima, il Conte di Montecristo di Dumas: la sua epopea criminale non sarebbe stata forse così riuscita se non fosse stata arricchita dalla componente fantascientifica, molto ben orchestrata dall’autore. Di fatto, anche questo mese sulla collana Le Storie, si realizza un’interessante commistione fra i generi: nello specifico ci si trova innanzi a una storia di gangster messicani che si incastra in maniera pregevole con il sottogenere fantascientifico dei rapimenti da parte degli alieni.
Senza dilungarsi nell’illustrazione della – piuttosto intricata – trama, al lettore basti sapere che la storia ha il merito di mantenere tutte le promesse che fa, dal momento che la tensione narrativa viene scandita da colpi di scena piuttosto efficaci che sostengono lo sviluppo dell’intreccio. Pure gli stacchi e i flashback sono stati distribuiti in maniera sapiente, soprattutto all’inizio, e agevolano il susseguirsi delle sequenze d’azione, tutte ben congegnate.
Di contro solo la rappresentazione del Messico, forse funzionale alla storia ma abbastanza stereotipata, mi ha lasciato leggermente perplesso. Ma comunque Cajelli si dimostra come al solito capace di compiere egregiamente il suo lavoro, anche se personalmente mi piacerebbe vederlo all’opera anche in narrazioni meno frenetiche e più concentrate sullo sviluppo dei personaggi.
Da un punto di vista grafico i disegni di Matteo Cremona appaiono davvero ottimi, e c’è da dire che la storia non è di quelle semplici: panoramiche sul deserto si alternano a interni claustrofobici; misteriose creature lasciano improvvisamente il passo a intricati flashback; esplosioni e scontri a fuoco si avvicendano a visioni surreali. Insomma, per farla breve non c’è niente che Cremona non riesca a rendere credibile e vivo, ogni situazione è giostrata in maniera brillante, e conduce il lettore a godere della narrazione senza nessun intoppo e senza mai prevaricare la storia.
Come è facilmente intuibile quindi siamo di fronte a un fumetto promosso a pieni voti, e adatto, per le sue peculiarità, a tutti i tipi di lettore: diverte quello attento e intrattiene quello occasionale.
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