I capitoli precedenti: abbiamo visto come l’animazione su vasta scala si è diffusa con il genio Walt Disney, di come questi abbia sconvolto il mondo con il suo uso perfetto della musica d’autore o classica, unendolo alle immagini dei propri lavori, dentro le Silly Symphonies, e di come a questo monopolio si siano andati a frapporre altre piccole case di produzione che accompagnava l’opera dei fratelli Fleisher e Tex Avery!
Mentre in Occidente si andava sviluppando questa cultura dei cartoni animati, ben massiccia negli Stati Uniti d’America e ben più scarna, se non esistente solo in alcuni film d’animazione di ricercata cura culturale, in Europa, dall’altra parte del Mondo, un Mondo di culture e tradizioni quasi del tutto sconosciute al popolo occidentale del dopoguerra, ciò che resta da una grande tradizione illustrativa ed una vasta raccolta di opere letterarie mitologiche, si va concretizzando sin dagli anni ’50 nel disegno animato: evoluzione dei fumetti illustrati chiamati dagli orientali “Manga”. I Manga, che per la nostra cultura rappresentano il genere fumettistico orientale, nel loro autentico significato rappresentano qualsiasi genere di fumetto; volendo analizzare la struttura della parola: “Man” significa immagine e “ga” veloce.
Questo genere fumettistico evolutosi in animazione si svilupperà accogliendo l’apertura al mondo occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale, in una vastissima produzione che investirà i mercati d’Europa e d’America specie negli anni ’70 e ’80, incontrando una notevole opera di censura anche per scopi politici.
Pur non facendo mai emergere una particolare casa di produzione, poiché il sistema è drasticamente diverso dal già citato sistema americano, gli autori di Anime (contrazione del termine inglese Animation) affrontano severi ostacoli di critica dapprima nel loro stato d’origine (il Giappone) ed in secondo luogo, ma forse ancora più incisivo, nell’esportazione dei loro prodotti in occidente, sono riusciti a fare affermare determinati autori nelle generazioni successive al 1960.
Se Walt Disney e la Warner Bros cercano, seppur in modi differenti, una cura estetica dell’immagine, una satira della società, un umorismo di forte impatto emotivo, gli anime giapponesi differiscono da tutto ciò, non ricercando (se non in alcuni casi ben precisi) una satira della loro società, anzi, mettendola in evidenza ed esaltando le proprie tradizioni ed il proprio modo di vivere, inoltre adottano uno stile grafico molto più “rozzo” e di “bassa qualità” che deve supportare, molto spesso, il lavoro d’un singolo uomo, il quale riveste lavori che in ambito USA venivano suddivisi in una più larga gamma di persone (basti pensare che nella sola idealizzazione di Bugs Bunny contribuirono ben sei persone).
Per non disperderci in questa vasta gamma di cartoni animati nipponici, prendiamo come esempio uno dei più grandi mangaka (disegnatore di fumetti) del Giappone; colui che seppe introdurre nuovi e rivoluzionari generi ideando personaggi che seppero conquistare (nonostante le vaste e a volte ingiustificate censure) il pubblico europeo, stiamo parlando di Kiyoshi Nagai, meglio conosciuto come Go Nagai.
Gli anime giapponesi sono differenziati per due sostanziali stili di disegno: il primo, quello più diffuso tutt’oggi, è l’immagine umana con tratti che uniscono quelli orientali a quelli occidentali, ovvero, i famosi “occhi a palla”; il secondo, che si ritrova più nelle opere degli anni fra i ’60 e ’80, è l’immagine umana molto simile a quella dei cartoni americani basati sui personaggi della Marvel e della DC Comics, ovvero: occhi squadrati, fisici possenti, muscolosi e molto spigolosi.
Questi sono i primi importanti passi dell’animazione giapponese che, lottando contro le censure e la grandissima concorrenza, riuscirà a conquistare dapprima il popolo e successivamente i dotti critici del cinema.
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