Editore: Star Comics
Testata: Must
Numero volumi pubblicati in Italia: 17
Periodicità: bimestrale
Data inizio pubblicazione italiana: gennaio 2011
Prezzo volumi: 4,90 €
Sovracopertina: si
Lettura: orientale
Dimensioni: 13×18
Info generali: tutti i volumi hanno cover con layout olografico; i numeri 15 e 17 hanno 4 pag. a colori
Rapporto qualità – prezzo: ottimo
Che il mondo dell’editoria sia abnormemente cresciuto nell’ultimo lustro, è una dato evidente sotto gli occhi di tutti. Per “dato evidente” mi riferisco alla quotidiana possibilità di scelta che un qualsiasi lettore ha davanti a scaffali di edicole o fumetterie: serie che vedono per la prima volta la luce in Italia, accostate a prodotti ben rodati che da anni sono improrogabili appuntamenti mensili, fratelli più prossimi di quelle (costose) riedizioni che, oscillando tra retrò e vintage, fanno leva su sentimenti nostalgici. Dinanzi ad una tale caotica opzionalità editoriale, il lettore, indistintamente dal suo grado di esperienza, finisce per smarrirsi. Non è più il tempo delle “poche”e qualitativamente ottime serie che esigue (solo di numero) case editrici lanciavano sul mercato, quando seguire tutto era più una necessità di lettura che un fatto di moda: o prendevi la maggior parte dei manga (o fumetti) disponibili o leggevi relativamente poco. Evitando di approfondire questa tematica, nella quale avrei posizione contraria rispetto alla maggioranza dei lettori, vale la pena puntualizzare la più grave conseguenza della suddetta apertura editoriale: non si sa più cogliere il prodotto di qualità.
Guglielmo di Ockham, scriveva: “Non moltiplicare gli elementi più del necessario”. Qui il “necessario” è stato ampiamente superato. E lo si capisce dalla più banale delle risposte data alla più banale delle domande fatta a chi ha già letto un manga che siamo indecisi ad acquistare: in primis, difficilmente si vuol sapere come il lettore l’ha trovato, ma non evitiamo il classico “di che parla?”. Puntualmente il nostro virtuale interlocutore non mancherà nel trovare più di un parallelismo con almeno tre – quattro manga ben noti, sentenziando infine la fatidica esclamazione: “E’ una copia di …”. Dimostrazione che il “necessario” è stato superato.
Stanislaus Joyce, fratello del più illustre James, scriveva: “È terribile avere un fratello maggiore più intelligente. Raramente mi viene riconosciuta un po’ di originalità”. E’ una sinossi tanto scheletrica quanto efficace di Uchu Kyodai – Fratelli nello Spazio, seppur diverso il grado di maggioranza tra fratelli. “Fratelli nello Spazio”, dove lo spazio galattico è “solo” il contorno di un affiatato e moderno racconto famigliare. Un rapporto che ha sfamato generazioni intere di letterati, a tratti oscuro, dal millenario richiamo storicistico: sia la storia sacra che quella civile del mondo nel quale viviamo, cominciano con un fratricidio (Caino e Abele & Romolo e Remo). Palese, dunque, la responsabilità che Chuya Koyama, autore del manga, ha avuto sulle sue spalle nello scegliere la tematica da trasporre in versione cartacea, pur seguendo esiti di sviluppo totalmente differenti dalla consuetudine storica.
Mutta Nanba, uomo sulla trentina dall’aria menefreghista, ha sempre avuto un sogno, che continua a coltivare: mettere piede sulla Luna. E’ un’implicita promessa fatta all’unica persona che non provi apatia nei suoi confronti, il fratello minore Hibito. Ma il non aver mai avuto un veritiero appoggio emotivo da parte di due genitori avulsi all’esigenze del primogenito spinge Mutta, demotivato e pessimista, a riporre nell’armadio il sogno di diventare astronauta. Oltre il danno, la beffa: il fratello Hibito, che ha continuato a perseverare, è diventato il primo giapponese inserito in una missione di sbarco sulla Luna. Sarà la competizione nei confronti del fratello, che spingerà Mutta a sfidare le sue paure e a tentare di concretizzare ciò che sembra essere una chimera.
Trovare, oggi, esempi di conservatorismo artistico parlante di progresso è cosa rara e alquanto inusuale. Pochi i casi lampanti in cui ciò è accaduto, Tezuka su tutti. Per alcuni tratti artistici Uchu Kyodai ricalca il modo di concepire la pagina tipicamente tezukiana: la tavola è articolata in modo che essa esprima l’atmosfera della scena nella sua interezza. Ci sono lavori come il ben noto TinTin dove, per ovvi motivi di derivazione pittorica fiamminga, tutto si svolge “nelle” vignette. In Uchu Kyodai tutto si svolge “fuori” le vignette, che sono solo unità minime di un mosaico paurosamente articolato. Ma forse, l’elemento più prorompente del disegno di Koyama è quello di rendere veritiero il “movimento soggettivo”. In un lavoro che tende al realismo, come questo, difficilmente si scorgono tratti simbolici (non essendo simbolica la realtà stessa che si cerca di dipingere) e ciò rende ancora più ardua l’immedesimazione soggettiva. Sostituendo l’astrazione iconica che preferiva uno sguardo dall’esterno, Koyama riesce, però, ad inserisce direttamente il lettore nelle fasi di movimento emotive con un disegno pulito, seppur a tratti traballante. Al contrario, un elemento che avrebbe potuto incentivare è la presenza di tavole a doppia pagina, che si sarebbero meglio prestate per sottolineare dati momenti del racconto.
Se dopo tutto questo disquisire non si è ancora certi su un possibile acquisto di Uchu Kyodai – Fratelli nello Spazio, ricordo che ha vinto il premio per il “miglior manga” nella categoria generale al 56esimo Shogakukan Manga Award (2010) e il Kodansha Manga Award (2011), succedendo a predecessori più che illustri e che ha ricevuto una trasposizione in Anime e in film Live-Action (2012).
Consiglio di un lettore assiduo: comprate Uchu Kyodai – Fratelli nello Spazio. Punto.
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