Bokura ga Ita

Molti dei cosiddetti “esperti” considerano ormai lo shoujo come un genere in lenta ma sicura decadenza, perso nel dilagare del moe, smarrito in una realtà in cui la solitudine viene amplificata dall’esplosione di quei mezzi che dovrebbero combatterla, dove un giovane giapponese (e non solo) preferisce rintanarsi nella sicurezza di un social network se non addirittura relegare la propria vita sentimentale dietro la tristezza di un simulatore di appuntamenti. In questo mare di desolazione una serie come Bokura Ga Ita, che punta alla realtà nuda e cruda, alla descrizione di un rapporto tra due adolescenti quale esso è, tra alti e bassi e condito da tante paure e incertezze, rappresenta davvero una voce fuori dal coro.
Tratto dal manga di Yuki Obata, terminato dopo varie vicissitudini nella primavera del 2012, questa serie animata prodotta dallo studio Artland è invece del 2006 e copre quindi, inevitabilmente, la prima parte della storia.

A leggere la trama di “Bokura ga ita” e, soprattutto, a dare un’occhiata ai disegni sembra incredibile che questa serie abbia creato tanta attenzione, spaccando in due l’opinione degli appassionati tra chi l’adora e chi invece la giudica sopravvalutata e noiosa, come capita di solito solo per i “fenomeni”. A una lettura attenta della trama quella tra Nanami e Yano darà l’impressione di essere la classica storia d’amore tra i banchi di scuola, con una lei timida e impacciata che riesce però a mettersi con il “figo” della scuola, e se ci aggiungiamo poi il classico triangolo e il finale strappalacrime tutto sembrerà la fiera del “déjà vu”, e invece no. La decisione d’impostare la storia praticamente solo su quattro personaggi sviscerandone appieno tutti i sentimenti attraverso un dettagliato ma misurato approfondimento psicologico, amplificando le loro emozioni con la scelta di un disegno minimalista dai colori pastello e l’uso di ritmi narrativi lenti, in certi punti ai limiti dell’eccessivo, rendono BGI un prodotto quantomeno particolare nel panorama generale, e come tutto ciò che è particolare questo potrà piacere o non piacere, senza che ci siano vie di mezzo.

Attraverso gli occhi della diciassettenne Nanami lo spettatore sarà calato nella quotidiana realtà di due adolescenti nei loro primi, timidi passi in una relazione affettiva importante con un sagace utilizzo dei toni a volte romantici, a volte comici, altre tendenti al drammatico, il tutto calato in una dimensione quasi onirica dove sono le emozioni a dettare le regole. Ogni aspetto tecnico, dalla luminosità ai colori delle immagini, fino alla colonna sonora, è subordinato agli stati d’animo dei due ragazzi, riuscendo a creare una certa empatia con quello spettatore che si dimostrerà più ricettivo all’argomento, il quale rivivrà i sospiri, le attese, i dubbi, le paure che costituiscono il normale corollario di una storia d’amore vera come vere saranno le reazioni di Nanami e Yano, a volte razionalmente difficili da accettare a chi le vede dall’esterno, proprio perché nell’amore il più delle volte è difficile trovare qualcosa che lo sia. Attraverso questo arduo cammino ricco di sofferenza si assisterà alla crescita personale della protagonista, che pur rimanendo ancora molto confusa, com’è giusto che sia alla sua età, arriverà comunque alla non facile decisione di non appiattirsi sulle decisioni dell’amato, ma bensì procedere su una sua strada ben marcata, affrancandosi e anzi elevandosi da buona parte delle succubi “eroine” degli shoujo odierni.

Non siamo di fronte quindi a una serie da consigliare a cuor leggero a chiunque, essa potrà piacere alla follia come deprimere e annoiare mortalmente, e non va dimenticato che è indirizzata prettamente a un pubblico femminile e che ai puristi dell’estetica sarà piuttosto arduo superare l’essenzialità dei disegni e lo stile poco delineato, a volte abbozzato, del chara design; al di la di questo comunque Bokura ga ita resta, secondo il mio personale, punto di vista, una visione imprescindibile per tutti gli appassionati del genere e per tutti coloro che, nonostante delusioni e ferite sentimentali, si ritrovano nella definizione di Nanami secondo cui la felicità è qualcosa di caldo, “come una fetta di carne al vapore o una patata dolce al forno. Qualcosa che ti riscalda in una giornata fredda”, e di cui sinceramente non si può fare a meno.

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