Quando si pensa a Neon Genesis Evangelion e si prova a descriverlo ci vengono in mente così tante cose da perdere il filo del discorso. Si tratta, infatti, di un anime estremamente completo e profondo, lontano dai classici esempi dell’animazione robotica nipponica.
Prendiamo in esempio il grande Mazinga Z, Ufo Robot, o il più recente Gundam; questi hanno molti punti in comune ma soprattutto il principio basilare di ogni anime robotico: tanta azione ed un eroe-pilota che muove un robot meccanico frutto delle più alte tecnologie moderne. Evangelion, invece, dà solo la parziale illusione, nelle prime puntate, di essere un’ennesima copia del genere sopracitato, ma, appunto, si tratta solo di un’illusione.
I più esperti ed allenati a carpire determinati segni, simboli ed eventi all’interno di un anime, possono immediatamente squarciare questa sorta di velo di Maya capendo che la storia che si sta per vedere è, per gran parte, totalmente estranea al genere robotico. O meglio ne è un’evoluzione più “culturale”.
Analizzando il nome con cui vengono chiamati i protagonisti robot della serie: macchina umanoide multi-funzione da combattimento, avremo un’altra conferma della diversità di Neon Genesis Evangelion, la natura di questi robot, infatti, è un’incontro a metà strada fra la creazione d’un essere umano ed il frutto della scienza meccanica. Queste macchine, chiamate Eva in modo abbreviato, possiedono un corpo e un’anima proprio come ogni uomo e spesso non hanno bisogno della famosa “mente di Tetsuya” per attivarsi, muoversi e ragionare.
Dunque bisogna aspettarsi ben di più da questo capolavoro di Hideaki Anno e gli studi Ganiax. Bisogna essere pronti ad approdare in un mondo vero, fatto di pensieri, di angosce e di paure umane che vanno a muovere l’intera vicenda e rendendo le scene d’azione un aspetto secondario.
La storia riprende molto dagli scritti delle religioni occidentali, ispirandosi ad iconografie, testi biblici (in particolare le pergamene del Mar Rosso) e ai nomi di personaggi della cultura cattolica. Gli uomini sono descritti come un’antica entità unita in cui il carattere divino si è scisso decidendo di prendere il frutto della ragione lasciando quello dell’immortalità. Ciò causò l’istinto di ogni uomo di avvicinarsi ad un altro essere umano per completare i vuoti della vita, per superare le debolezze e le mancanze, ma questo avvicinamento è allo stesso tempo contrastato dall’inevitabile dolore che può provocare qualsiasi relazione umana.
L’anime riprende inoltre molte teorie filosofiche, ad esempio: il dilemma del porcospino, la poetica delle maschere di Pirandello e molto di Freud e Schopenhauer. Insomma, un anime che è ben apprezzabile da chi non cerca una storia banale che segua le linee classiche del genere.
Altra caratteristica particolarmente unica di quest’opera è la capacità di rendere protagonisti tutti i personaggi che compongono la storia, persino Kaworu Nagisa, che compare meno di tredici minuti nella serie animata, assume un ruolo di estrema importanza. A questo si affianca una regia magistrale che porta il carattere tipico dell’autore Anno, il quale ama mischiare disegni normali, fotografie, immagini con colori a pastello, giochi di chiaro-scuro, lunghe inquadrature fisse su di un’unica immagine o inquadrature su immagini apparentemente inutili che, invece, danno una fortissima carica emotiva ed un gran numero d’informazioni che in altro modo non avremmo ricevuto.
Con Evangelion, i cartoni animati, non sono più azione, storie d’amore, avventure ecc. ma diventano un’indagine psicologica sulla mente umana, in particolare su quella degli adolescenti, i quali, essendo in crescita, cominciano ad aprire bene gli occhi sul mondo e ad affrontare i propri problemi esistenziali. Proprio per questo carattere i personaggi, dal pensiero e dall’esistenza cupa e, come dice lo stesso autore, “malata”, sono fortemente apprezzati dal pubblico che riconosce in loro le parti più profonde del proprio essere.
Questa miscela sperimentale fra il robotico ed il filosofico andrà a concludersi in un finale trattato in una modalità del tutto inaspettata ma che, se visto con attenzione e cura, lascia un forte senso di piacere nello spettatore.
Sono state rivolte molte critiche all’anime ed al regista Hideaki Anno, il quale ricevette un’infinità di lettere di protesta da parte dei fan per il finale dell’opera che non fu immediatamente compreso ed apprezzato perché, invece di essere un finale concreto, è un finale psicologico, che vede nelle ultime tre puntate analizzare da vicino tutte le paure e le aspirazioni dei protagonisti, giungendo al finale con una risoluzione emotiva su di uno dei Children, ovvero i ragazzi che pilotano gli Eva.
E’ pur vero che molte scelte registiche sono state imposte da un budget ristrettissimo, ma è anche vero che sia prima di Neon Genesis Evangelion che dopo, nella regia di Anno continuano ad esserci determinate scelte, non dovute al budget, ma prese per una questione stilistica.
Credo fermamente nella bellezza della serie animata e di come Anno, in un momento di forte crisi, abbia saputo reinventarsi. Sicuramente ci saranno molte, tante, tantissime persone che non le capiranno mai del tutto (quelle ultime puntate), ma ciò non rende il prodotto di bassa qualità. D’altronde, potrebbero benissimo trattarsi di quelle stesse persone che davanti a film impegnativi e contorti (che sia un Bergman o un Fellini) storcono il naso o si lamentano perché non sono riusciti a capire il senso e preferiscono, piuttosto, vedere un bel film d’azione o un po’ comicità spicciola per poter saziare la propria mente ristretta.
D’altra parte, Anno, ha voluto accontentare i suoi fan ed i suoi probabili assassini, realizzando il film The end of Evangelion, in cui ha fatto vedere concretamente cosa avveniva dalla morte di Nagisa alla fine della serie animata; ma realizzando un film dove le scene d’azione occupano la metà del tempo e la spettacolare realizzazione del Third Impact è realizzata con delle immagini superbe, Anno non ha rinunciato a ciò che era il suo progetto e anche qui, buona parte del film, si snocciola nella mente di Shinji Ikari; ed anche accontentando i fan è riuscito a fare uno dei film d’animazione più belli della storia giapponese.
Ma voluto o non voluto, apprezzato, odiato, amato, lodato, glorificato, cosa importa? L’importante è che, negli anni ’90, proprio mentre spopolano cartoni alla Sailor Moon e Dragon Ball, un uomo abbia deciso di deviare i binari dell’animazione verso mete più alte e più interiori, incidendo nella storia un profondo solco, difficile da ignorare.
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