TWR la (psico)analisi di Dunkirk: raggiungere la trinità

Ok, “raggiungere la trinità” può sembrare un fuorviante gioco di parole per acchiappare click. Ma, in fondo, non è proprio questo lo scopo dei titoli degli articoli?

Detto ciò, è bene precisare che c’è un motivo per cui, in un’analisi dell’ultimo film di Christopher Nolan, Dunkirk, parlo di trinità e, ovviamente, non è religioso. Mi spiego meglio.
Il genere bellico – non capirò mai il perché – è una di quelle categorie di film che scatena sistematicamente paragoni e classifiche sia tra gli spettatori che tra i critici. Una bagarre in cui, tutto sommato, mi tuffo con piacere dicendovi che, a mio modestissimo avviso, i tre inarrivabili capolavori del cinema bellico sono rappresentati dalla trinità vietnamita del cinema ‘mmeriganoFull Metal Jacket, Platoon ed Apocalypse Now. Non per forza in quest’ordine, ma – se ci tenete a saperlo – ritengo Full Metal Jacket un gradino sopra tutti. 
E già immagino qualcuno di voi che inorridisce perché non ho menzionato La Sottile Linea Rossa. Beh no, per me Malick non è arrivato ai livelli di quel Kubrick, di quello Stone e di quel Coppola.

Lo so, ci siamo già addentrati nel campo minato dei paragoni scomodi. Quelli che spesso, a chi legge, sembrano eccessive manifestazioni di enfasi nei confronti di un prodotto che non può rivaleggiare coi classici, vuoi perché per alcuni Nolan è un regista troppo commerciale (e non lo è), vuoi perché difficilmente accettiamo che un blockbuster di nuova uscita possa essere accostato ai mostri sacri del passato. Però Dunkirk ha davvero tutte le carte in regola per raggiungere quei tre di cui parlavo più su insinuandosi nell’olimpo del cinema bellico.
Una volta che gli entusiasmi da visione si saranno sedimentati, il tempo ci dirà se il primo war movie diretto da Nolan sarà ricordato come un cult intramontabile. Quel che è certo, intanto, è che si tratta di un film magnifico.


– Tutti a terra! Le sta sparando grossissime! – 

Circa 25 anni fa Christopher Nolan, dopo un viaggio a Dunkerque, ebbe l’idea di realizzare un film che raccontasse la storia dell’Operazione Dynamo, l’evacuazione di circa 300.000 soldati inglesi e francesi, assediati dai tedeschi in questa piccola cittadina al confine franco-belga durante il secondo conflitto mondiale. Centinaia di migliaia di uomini che, bloccati su una spiaggia tra il 27 maggio ed il 4 giugno 1940 e con il continuo spauracchio delle bombe della Luftwaffe, non avevano altra via di fuga se non il mare. 

Non una storia semplice da raccontare, tanto che Nolan ha deciso di portarla al cinema solo adesso che è nel pieno della sua maturità artistica. E così il regista britannico, da sempre spinto dall’ambizione di non ripetersi e di stupire, si è cimentato con un genere per lui inedito come quello bellico e lo ha fatto alla sua maniera. A Nolan piace giocare con il tempo e con la percezione che di esso ha lo spettatore – lo ha fatto con Memento ed ha continuato a farlo con Inception ed Interstellar – proprio per questo Dunkirk ha una costruzione inusuale. Il film, infatti, ha una narrazione asincrona ed è raccontato da 3 diversi punti di vista – il molo, il mare e l’aria – e gli eventi di ciascuno di essi hanno una differente durata (una settimana, un giorno ed un’ora). Una visione triplice di uno spaccato bellico con dei dialoghi ridotti all’osso (in 100 minuti di film ci saranno sì e no 15 minuti scarsi di parlato) ed in cui sia il nemico che il grande capo Churchill non compaiono praticamente mai. Perché il focus di Dunkirk non è puntato sulle strategie militari o sulle stanze del potere, ma è una storia corale raccontata attraverso gli occhi di tre diversi protagonisti, tre vittime degli eventi spinti in alcuni casi dall’onore, in altri dall’istinto di sopravvivenza: Tommy, il giovanissimo soldato in fuga da Dunkerque il cui ruolo è stato affidato al pressoché esordiente Fiomm Whitehead, il signor Dawson, capitano di un’imbarcazione civile interpretato Mark Rylance, premio Oscar per Il Ponte delle Spie, e Farrier, un pilota di Spitfire che ha il volto – o meglio: gli occhi – di Tom Hardy che, curiosamente, si trova per l’ennesima volta a recitare in museruola.

Hardy, se ben ricordate, è una presenza ricorrente nei film di Nolan, e in Dunkirk compare anche un altro degli attori feticcio del regista britannico, ovvero Cillian Murphy (e no, stranamente stavolta non c’è Michael Caine). Oltre a loro, nel cast figurano anche Kenneth Branagh ed Harry Styles, ex membro degli One Direction riciclatosi attore.


“La vedi? Quella è una telecamera IMAX”

Tre punti di vista, dicevamo, che sono anche la rappresentazione di tre elementi, ognuno dei quali con un diverso simbolismo: la Terra, specchio dell’angosciante condizione dei soldati in lotta per continuare a vivere, l’Acqua, la via di fuga e l’Aria, la provvidenza. Non può naturalmente mancare il quarto elemento: il Fuoco, la fine, che la fa da padrone nel climax del film. Climax che viene raggiunto dopo una graduale ascesa di tono e tensione. Elemento questo che Nolan gestisce, come sempre, con grande maestria ingigantendo gradualmente la portata di ogni storyline con un effetto palla di neve. L’obiettivo è quello di generare una sorta d’attacco d’ansia nello spettatore e viene raggiunto anche grazie al solito sodalizio con Hans Zimmer che con la soundtrack di Dunkirk si è superato, realizzando uno dei suoi lavori più convincenti e coinvolgenti. Uno degli espedienti con cui Zimmer riesce a pompare agitazione nelle vene degli spettatori è la cosiddetta Scala Shepard: un trucchetto che fa sì che la musica salga continuamente di intensità all’infinito senza mai raggiungere l’apice.
In questo interessante video di Vox è spiegato molto bene:

Musiche maestose, fotografia evocativa, storytelling granitico ed una regia ispirata ed elegante fanno di Dunkirk è un ceffone di potenza audiovisiva che incolla lo spettatore sulla poltroncina del cinema, sballottato tra l’agorafobia dei bombardamenti in una spiaggia sconfinata e la claustrofobia della stiva di una nave che affonda. L’ennesima conferma del genio visionario e della padronanza del mezzo di uno dei più grandi registi del nostro tempo: Chrisptopher Nolan, uno dei pochi in grado di fare quel tipo di Cinema che merita ancora di essere visto al cinema, in barba alla soverchiante avanzata della TV.

Io vi saluto e, come sempre, vi aspetto su Facebook:

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