TWR Twin Peaks: nel 1990 il big bang della serializzazione TV

Anno 2017. Le serie TV hanno cannibalizzato l’intrattenimento.

Fateci caso: nell’era mediatica in cui viviamo, il vero colosso dell’intrattenimento non è più il cinema ma la TV. Oggi film, romanzi, fumetti, videogiochi, fatti di cronaca ed eventi storici cambiano pelle e vengono risucchiati, come in un buco nero supermassivo, in televisione per essere suddivisi in episodi ed impacchettati in stagioni. Una valanga di serial pronti ad essere consumati con avidità da un pubblico sempre più ingordo. Un pubblico che, con la bava alla bocca ed il telecomando in mano, brama il binge watching più esasperato.

Dopo questa premessa, guardiamoci un attimo alle spalle. Saliamo sul TARDIS e torniamo agli anni ’80, un periodo in cui le serie TV erano un’esperienza mordi e fuggi fatta di eroi senza macchia – possibilmente reduci del Vietnam (vedi Magnum, l’A-Team, Michael Knight e Nick e Cody di Riptide) – che bazzicavano qua e là per la provincia americana aiutando i più deboli. L’unica eccezione era Magnum P.I. che – siccome era più scaltro degli altri – viveva alle Hawaii a scrocco a casa del romanziere miliardario Robin Masters. Era un televisione ingenua e semplice fatta di trame verticali (un villain per episodio e niente story arc) e che si prestava alla visione occasionale. Oggi, invece, le serie TV hanno archi narrativi che durano intere stagioni e budget impressionanti. Ed è normale sia così, perché i serial sono diventati il nord nella bussola della cultura pop e megaproduzioni come Game of Thrones e Westworld ne sono la conferma. Parliamo di prodotti che possono permettersi costi di produzione di decine di milioni di dollari ad episodio.
A questo punto chiediamoci: come siamo passati da Magnum P.I. a Game of Thrones? Cosa ha trasformato il brodo primordiale anni ’80 fatto di militarismo buono nel gold standard dell’intrattenimento?
È stato Twin Peaks, il big bang della TV che tutti guardiamo oggi.

Dalle prime scintille di questa deflagrante esplosione catodica, a partire dagli anni ’90 gli sceneggiatori si decisero ad esplorare nuovi e strani mondi (se non avete colto la citazione, siete invitati ad interrompere la lettura). Dalla voglia di stuzzicare gli spettatori con complotti in salsa aliena arrivò X-Files, poi fu il turno di mostri, vampiri ed amori adolescenziali col teen-horror Buffy, fino ad arrivare alla nuova generazione di drama con Oz o I Soprano. Poi arriverà Lost, la prima serie a diventare evento mediatico globale ancor prima dei social network. Grazie a Lost, la creatività e gli investimenti per il piccolo schermo subirono un’improvvisa accelerata e vennero portati a velocità di curvatura. Ma questa è un’altra storia. Oggi parliamo di come David Lynch, un uomo che considerava la televisione “un media orrendo”, cambiò per sempre la storia della serializzazione televisiva demolendo la solida routine che, fino a quel momento, aveva accompagnato gli spettatori.

É il 1990 e David Lynch è già un nome noto al grande pubblico. Dopo il successo di Elephant Men e l’insuccesso dell’adattamento cinematografico di Dune, torna a far parlare di sé con Velluto Blu, film con Isabella Rossellini, Dennis Hopper, Laura Dern e con il suo attore feticcio: Kyle McLachlan. In Velluto Blu sono presenti in forma embrionale molti temi ed espedienti che, di lì a poco, verranno amplificati in Twin Peaks: tende rosse, donne sottoposte a violenza, il torbido dietro le quinte delle piccole città di provincia e, appunto, Kyle McLachlan. Senza dimenticare che le musiche sono realizzate proprio da quell’Angelo Badalamenti che sarà autore dell’indimenticabile tema musicale di Twin Peaks.

Dopo il successo di Velluto Blu, la Warner commissiona a Lynch un film sulla vita di Marylin Monroe e lo fa incontrare con Mark Frost, sceneggiatore, tra le altre cose, di alcuni episodi de L’Uomo da Sei Milioni di Dollari. Il progetto su Marylin cade e i due incontrano la ABC, all’epoca alla ricerca di un prodotto nuovo da proporre sul piccolo schermo. Lynch e Frost accettano. Nasce così Twin Peaks.

Twin Peaks parte da un plot in apparenza prettamente crime, l’indagine sull’omicidio della giovane e bella Laura Palmer in un’alienante cittadina montana al confine col Canada, nel profondo nord-ovest degli Stati Uniti, per ammantarsi sin da subito di un velo orrorifico e virando poi sul misticismo più sfrenato. Con Twin Peaks David Lynch non si sente in dovere di dare spiegazioni compiute a tutto, alcune situazioni vanno semplicemente accettate e prese per buone, proprio come fa l’agente Cooper interpretato (aridaje) da Kyle McLachlan. Ed è proprio Cooper – che assieme a Mulder e Scully compone il più iconico trio di agenti dell’FBI mai apparso sul piccolo schermo – tra intuizioni e sogni divinatori, a guidare gli spettatori tra le pieghe di una vicenda dai connotati del tutto inusuali. Un atteggiamento chiarissimo già dall’episodio 1×03 (Lo Zen, oppure l’abilità di catturare un killer) in cui Cooper sfodera un metodo d’indagine alquanto pittoresco: lancia delle pietre contro delle bottiglie dopo aver pensato ad ognuno dei sospettati. Se la bottiglia si rompe, il sospettato in questione è in qualche modo coinvolto nell’omicidio di Laura. Sempre nel terzo episodio scopriamo per la prima volta quello che diventerà, probabilmente, il più iconico ambiente mai concepito nell’immaginario televisivo: la Loggia Nera, la stanza con la pavimentazione bianca e nera a zig zag e i drappi rossi alle pareti.

Il senso di incompiutezza e la presenza di alcuni grotteschi e indimenticabili comprimari quasi nonsense (il nano, la signora Ceppo, Nadine, il dottor Jacoby), sono un elemento di rottura col passato; una libertà, questa, che la televisione finora si era presa ben poche volte, come ad esempio con Il Prigioniero, il cult britannico anni ’60.

Twin Peaks, grazie a questi ingredienti, genera nel pubblico un’affezione morbosa consacrandosi come il primo vero evento seriale televisivo. Se ne parla ovunque, TV Sorrisi e Canzoni pubblica “Il Diario Segreto di Laura Palmer” che diventa una lettura obbligata tra gli adolescenti, e gli spot che passano incessantemente sulle reti Mediaset iniziano a turbare i sogni dei più pavidi (come me). In particolare la pubblicità con Bob che sbuca da dietro il divano di casa Palmer diventa lo spauracchio numero uno, una mina vagante di terrore che induce a fare zapping con molta cautela. Ben più inquietante del Venerdì con Zio Tibia.

– Bù –

A proposito di Bob – il personaggio più disturbante del folle microcosmo di Twin Peaks – forse non sapete che la sua creazione ed il suo casting sono assolutamente casuali. Frank Silva, l’attore che interpreta Bob, è l’arredatore ed assistente alla scenografia della serie. Per puro caso, in una famosa scena in cui la madre di Laura si alza dal divano ed inizia ad urlare senza apparente motivo, Silva è visibile nel riflesso dello specchio alla spalle dell’attrice. Guardate con attenzione:

Un cineoperatore fa notare l’errore a Lynch, che lo prende per un segno del destino e decide di includerlo nella storia. Bob, personaggio che ha turbato i sogni di milioni di spettatori, è nato così, per puro caso.
Silva morirà 4 anni dopo la fine della serie, a soli 44 anni, di AIDS.

L’intera serie è composta da 30 episodi suddivisi in due stagioni: la prima di 8 puntate e la seconda, allineata con la durata media delle serie dell’epoca, di ben 22. Il castello regge bene fino alla metà della seconda stagione, quando cioè vengono svelate le dinamiche dell’omicidio e l’identità dell’assassino di Laura Palmer, poi perde ritmo e la qualità va decisamente calando di pari passo con gli ascolti. Va detto che la colpa di questo è da attribuire ad un incredibile harakiri del network, è infatti la ABC a forzare Lynch e Frost a svelare l’identità dell’assassino di Laura. I due prevedono che questo avrà un impatto negativo sul prosieguo della serie ed è esattamente quello che succede: le sottotrame successive diventano deboli ed inconcludenti e quel filo di tensione che teneva al guinzaglio gli spettatori si allenta parecchio. Anche perché fino a questa prematura rivelazione, come in un buon giallo di Agatha Christie, tutti gli assurdi abitanti di Twin Peaks erano quantomeno sospettabili.
Lynch tempo dopo dichiarerà: “Quel mistero era sacro, teneva in piedi tutti gli altri misteri.”

Nonostante questo, il finale di Twin Peaks è da applausi grazie ad un memorabile cliffhanger che, caso unico nella storia della TV, avrà risposta dopo più di 25 anni con la nuova miniserie prodotta da Showtime. Una serie di 18 puntante in cui Lynch e Frost torneranno a tirare le fila dell’assurdo carrozzone di personaggi da loro creati. Laura l’aveva previsto:

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