TWR la (psico)analisi di Zoolander 2: supermodello o supereroe?

Una breve ma obbligatoria premessa: trovo che Zoolander sia un inarrivabile ed imprescindibile capolavoro del genere demenziale, 90 minuti di genialità senza sosta con uno dei migliori protagonisti comici della storia del cinema. Un film che riesce ad essere persino mezzo gradino sopra rispetto a supercult come Frankensterin Junior o L’Aereo Più Pazzo del Mondo.
Lo ricordo come fosse ieri: era il 2002 quando in un sonnecchioso pomeriggio, incuriosito da quella copertina assurda e sgargiante, lo noleggiai assieme ad un amico in un Blockbuster (ve li ricordate i Blockbuster? Sembra ieri che andavamo a noleggiare i DVD in quei posti tutti blu sentendoci molto ‘mmerigani, a quel tempo non esistevano gli iPhone ed i T-Rex non si erano ancora estinti…). Dicevo, era il 2002 e la mia vita non sarebbe più stata la stessa, Zoolander è il film che in assoluto ho rivisto più volte e, quando 10 anni fa cominciai a frequentarmi con quella che oggi è mia moglie, le prestai il prezioso DVD (dopo il noleggio lo acquistai), lei apprezzò e così capii che era degna. Sì, perché se non vi piace Zoolander siete delle brutte persone, anzi: siete proprio delle persone di merda. E questa è una delle poche  cose su cui non accetto il contraddittorio.

Ora, dopo quello che vi ho appena detto, capirete bene lo stato d’animo con cui sono andato al cinema: un misto tra entusiasmo e terrore, la gioia di rivedere Derek si mischiava alla paura del flop. Volevo fortissimamente uscire dal cinema felice, purtroppo non è stato così.

Il principale problema di Zoolander 2, oltre ad un primo tempo abbastanza monotono, è quello di essere troppo ancorato al primo film. In Z2, infatti, gli omaggi ai più iconici momenti del suo predecessore sono troppo ricorrenti e, fisiologicamente, molto meno divertenti: il momento “latte schiumato” di Mugatu, Derek alla guida che mangia il suo snack preferito sulle note di Wake Me Up Before You Go-Go, ecc.

L’effetto collaterale è che verrete schiaffeggiati da una fastidiosa sensazione di déjà vu. Fa eccezione la passione per le orge di Hansel che trova un sorprendente e spassoso sviluppo con una ciliegina sulla torta: vedere il più maestoso killer della storia della televisione, Kiefer Sutherland/Jack Bauer, che si professa incinto facendo gli occhi dolci con un test di gravidanza in mano è qualcosa di semplicemente epico. A proposito, così come avvenuto col film del 2001, anche Zoolander 2 è pieno zeppo di cameo: John Malcovich, Justin Bieber, quella patatona di Katy Perry, Valentino, Tommy Hilfiger, lo spassoso ruolo di Sting (che è IMMENSO nel finale) e, rullo di tamburi, Benedict Cumberbatch nei memorabili panni del transgender di nome Tutto.

Personaggi che vanno ad arricchire in differenti modi la mitologia che ruota attorno al tre volte modello dell’anno Derek Zoolander, un supereroe della moda. E, se ci pensate bene, Derek è a tutti gli effetti un supereroe e Zoolander è il più classico dei cinecomic (in chiave demenziale). Derek è Batman, ma non sconfigge i criminali avvalendosi dell’intelligenza come farebbe il Cavaliere Oscuro, lo fa grazie alla sua inarrivabile stupidità (senza dimenticare che ha anche un superpotere: la magnum), Hansel è la sua spalla (Robin), Mugatu è il villain clownesco (Joker) e Penelope Cruz… beh lei è il commissario Gordon ma con delle tette giganti. 

A conti fatti, però, il confronto con lo Zoolander del 2001 è impietoso, non ci sono i guizzi che resero il primo film un folle ed originalissimo cult del genere: la sfilata clandestina a due con David Bowie nei panni del giudice, la leggendaria morte di Rufus, Brint e Meekus ed il successivo indimenticabile discorso al funerale (“non è che perché abbiamo addominali scolpiti e fattezze da paura non possiamo morire facendo la guerra con la benzina, siamo figosi mica immortali”). E poi, anche ciò che di buono ha da offrire questo sequel (oltre ad alcuni dei sopracitati siparietti-cameo, anche il finale che non è affatto male) naufraga per questa ricorrente sensazione di riciclo di idee ed anche perché le sostanziali novità inserite in Z2, a parte Penelope Cruz (e le sue tettone), non funzionano proprio: Don Atari è un personaggio a dir poco pessimo (fa ridere quanto una puntata di Colorado), la trovata dell’hotel D’Cacca, come da nome, è una merda ed il figlio di Derek va a corrente alternata. A questo aggiungete che la regia (curata dallo stesso Ben Stiller), tranne che all’inizio del film, non è particolarmente ispirata o frizzante.

Insomma, purtroppo il tanto atteso ritorno del tre volte modello dell’anno Derek Zoolander è stata una mezza delusione slash occasione sprecata. Nonostante ciò, io continuerò a credere fermamente nell’esistenza di un’espressione talmente perfetta da riuscire a fermare una shuriken a mezzaria.

E se anche voi, come me, sospettate che nella vita ci sia anche altro oltre all’essere belli belli belli in modo assurdo, vi invito a lasciare un like alla più autorevole pagina Facebook dell’internet, la mia. Vi ricambierò con una Blue Steel.

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1 commento su “TWR la (psico)analisi di Zoolander 2: supermodello o supereroe?

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