Dylan Dog #334 – La paga dell'Inferno

Ricordate i bei tempi in cui Dylan Dog era un fumetto cult? E i tempi in cui le sue storie uscivano dalla pagina per creare una serie di messaggi e impressioni ed espressioni in grado di segnare la nostra vita, senza mai togliere spazio all’azione, al mistero, all’indagine e al “culto dell’orrido” (inteso come esaltazione dell’estro creativo dei suoi autori, tipi orridi insomma)? Ebbene, vi consiglio di recuperare Dylan Dog #334 se volete ritornare a provare quelle sensazioni: La paga dell’Inferno è il primo albo di Dylan che mi rimane nel cuore da circa tre anni (o più) a questa parte.

 

I meriti di questo rinvigorito amore per il fumetto con cui sono passato dall’adolescenza alla maturità (se maturo posso ritenermi) vanno a Giovanni Di Gregorio (testi) e Daniele Bigliardo (disegni), i quali non hanno strafato nel loro approccio al personaggio, ma ne hanno comunque inquadrato pienamente i tratti fondamentali e l’essenza che l’ha reso un (anti)eroe dei nostri tempi. Un incipit in medias res ci catapulta in eventi assurdi, come si è soliti assistere sulle vecchie storie dell’Indagatore dell’Incubo: quanto può essere normale venire assunti dall’Inferno – o sarebbe più corretto dire da “un” Inferno – per catturare un serial killer di serial killer? Il nostro Dylan infatti si trova a dover fare la spola tra il mondo terreno e il più originale degli Aldilà. Un’organizzazione industriale, dove ogni reparto svolge una funzione ben precisa, ricalcando il modus operandi terrestre.

 

L’idea di Di Gregorio si mostra vincente fin da subito, perché racchiude un’estrema conoscenza del background di Dylan, rispettandone i canoni stilistici ma apportando una ventata di novità e freschezza dal punto di vista dell’indagine. Non ricordo più ormai l’ultima storia in cui l’Indagatore dell’Incubo faceva l’Indagatore dell’Incubo: in questo volume, torna a svolgere un’indagine e ne vediamo gli sviluppi dall’inizio alla fine, seguendo le dinamiche mentali e comportamentali di Dylan, riscoprendolo nuovamente abile detective. Fin qui direi che non c’è niente di così meraviglioso da farci urlare al capolavoro e, ben inteso, qua di capolavoro stiamo parlando. La differenza la fanno le sottotrame, la coerenza comportamentale dei personaggi (vedi Groucho e Bloch, ma anche i comprimari presenti solo in questo volume), il giusto peso e spazio dato agli eventi narrati, il ritmo commisurato al tipo di situazione da mettere in scena e l’ottimo feeling narrativo che si traduce in disegni al limite della perfetta simbiosi con la storia.

 

Indubbiamente Bigliardo ci mette del suo in modo convincente e marcato per realizzare un’autentica chicca grafica: le inquadrature non sono mai eccessive, i giochi d’ombra amplificano lo spazio di trasmissione della trama, l’espressività dei personaggi, la dinamicità dell’azione e le idee legate alla realizzazione dell’Inferno fanno risuonare le matite nella storia e la storia nelle matite, senza lasciare spazio ad una possibile lettura scissa delle due parti. La compenetrazione storia/disegni è qualcosa che da sempre caratterizza Dylan Dog (pensiamo al magnifico duo Sclavi/Stano) e questi due artisti riportano alla memoria del lettore le ambientazioni, le sensazioni e la carica visiva del fumetto da me tanto amato.

 

Fermo restando che quando si parla di Dylan Dog sono spesso di parte, erano alcuni mesi che qui sul Bar del Fumetto non pubblicavo una recensione sull’Old Boy perché le storie passate mancavano di passione e mordente sul vecchio pubblico; lungi da me il giudicare il lavoro altrui, Di Gregorio e Bigliardo hanno dimostrato davvero di sapere far girare la ruota chiamata Dylan Dog con semplicità,  riportando in vita fattori fondamentali della narrazione legata al personaggio: dalle immagini splatter al non-sense dei personaggi, dall’ironia di Dylan (che mancava da non so davvero quanto tempo!), alle citazioni ai numeri classici del personaggio Bonelli, creando un contesto forte e immaginifico, che si riesce a stratificare nella mente e nel cuore, senza annullare tutto con un finale che puzza di passata di spugna, ma anzi concludendo in modo coerente (lo ripeto: coerente!) la narrazione. Da amante sfegatato non posso che gioire di ciò e vi invito a recuperare questo volume. Noi ci rileggiamo alla prossima recensione.

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Piccola clip video sul Dylan Dog #334 La paga dell’Inferno


http://youtu.be/psyyE-FCEq4

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