Retrogaming: Quando la fiaba incontra il videogioco (Ico e Shadow of the Colossus)

Ico è un bambino che viene portato via dal suo villaggio, per essere sacrificato in un castello abbandonato. La causa di questo provvedimento sono le corna che spuntano dalla sua testa, le quali sono ritenute portatrici di sventure dagli abitanti del villaggio.

Ma la dea bendata manda un bacio ad Ico, il quale si dimena all’interno del sarcofago in cui è stato rinchiuso, finendo per farlo precipitare, distruggendolo.
Una coincidenza o forse il fato, vuole che nel castello sia  stata imprigionata anche Yorda, una ragazza circondata da un’aura magica, anch’ella destinata al sacrificio. Il nostro giovanissimo, ma coraggioso eroe, non può esimersi dal liberarla, e fuggire con lei da quel luogo dimenticato dall’uomo.

Ciò che mi viene da pensare, parlando di questo gioco, è che l’ormai venerato Team Ico creò codesto gioiello con una parola in mente, cioè magia. La trama, il gameplay, la veste grafica, l’ambientazione, l’atmosfera ed il sonoro sono permeati di una corazza magica impossibile da scalfire e dalla quale è impossibile non rimanere stregati una volta catapultati al suo interno.

Ci troviamo di fronte ad un action/adventure nel quale progrediremo esplorando l’ambiente di gioco, con lo scopo di fuggire dal castello. Durante l’avventura ci troveremo di fronte ad enigmi inizialmente basilari, come tirare leve e spingere casse, che diverranno man mano più complicati, tanto da poterci trovare in alcune occasioni a non sapere cosa fare; ma non c’è nulla di troppo difficile e la soluzione è sempre più semplice di quanto si possa pensare. A complicare il tutto però ci si mette il fatto di dover portare con noi la nostra eterea amica, la quale non è capace di eseguire diverse azioni, come arrampicarsi alle catene e alle sporgenze o eseguire salti troppo lunghi, quindi saremo costretti in diverse circostanze ad allontanarci da lei e cercare un modo alternativo di farla proseguire. Se ciò non bastasse, dovremo anche proteggere la fanciulla da esseri dalle fattezze di fantasmi neri che tenteranno di portarcela via ad ogni occasione buona, e per respingerle, saremo inizialmente armati di un semplice bastone. Nei casi in cui lasceremo la ragazza sola per un tempo abbastanza lungo, le spietate creature ne approfitteranno per tentare di rapirla, e in caso di successo, causeranno il game over. Una caratteristica originale, nonché poetica e fiabesca, è la possibilità di prendere Yorda per mano, cosa oltretutto utile nel caso si decida di fuggire dalle creature, invece che combatterle. Oltretutto i due giovani possono comunicare; infatti, premendo un tasto, Ico chiamerà la ragazza, sia da distanza ravvicinata con voce bassa, e sia da lunga distanza con un urlo.

Quindi le azioni del gioco vanno da quelle tipiche degli action/adventure quali combattere, saltare, spingere e azionare oggetti, a quelle puramente platform quali arrampicarsi. Senza dimenticare la caratteristica inedita e decisamente più memorabile, ovvero il dover proteggere la ragazza. Il tutto condito da una risposta dei comandi impeccabile, coadiuvata da un sistema di inquadrature all’altezza.

Il comparto grafico è assolutamente maestoso. Ogni aspetto è permeato di magia, a partire dalle splendide ambientazioni, alle texture senza sbavature o quasi; dagli incredibili effetti di luci alla realizzazione dei personaggi, che raggiunge vette forse mai raggiunte all’epoca. Da segnalare la riproduzione dell’acqua: tra le più sbalorditive mai realizzate (almeno fino a quel momento). Davvero fantastico vedere come sono stati realizzati i movimenti dei due ragazzi: aggraziata, spaesata e dal passo lento Yorda; energico e veloce Ico (il suo incedere sgraziato nel trasportare oggetti pesanti mi ha strappato più di un sorriso).

Il comparto audio è altrettanto eccellente. Per non rovinare l’atmosfera onirica del gioco, il Team Ico ha pensato bene di implementare poche melodie, tutte rilassanti, lasciando fare la parte del leone ai suoni ambientali che meglio si accostano all’atmosfera proposta.

Tutto in Ico è magico, onirico, poetico, fiabesco, minimalista, mistico, romantico e commovente. E poco importa, secondo me, che la longevità sia decisamente bassa, perché l’esperienza che questo capolavoro regala è di quelle intense ed indimenticabili. Non è la storia di un ipermuscoloso eroe, armato fino ai denti, che salva la terra, ma è la fiaba di un ragazzino che protegge un’innocente fanciulla armato solo del suo coraggio e di un bastone. E’ una storia semplice ma magnifica e magniloquente, quasi priva di dialoghi e di personaggi, ma tutto ciò, non solo non rappresenta un punto debole, ma è un autentico e pregevole tratto distintivo. Non giocarci è un delitto contro la propria passione per i videogiochi.

Creare un gioco come Ico può rappresentare un pesante fardello, soprattutto se a crearlo è una software house alle prime armi come lo era il Team Ico. Ovviamente in questi casi ci si chiede se il team in questione possa essere in grado di ripetersi, magari creando qualcosa di diverso e originale invece di omologarsi agli standard ed ottenere, comunque comprensibilmente, guadagni più facili.

Ebbene, la seconda opera del Team Ico è qualcosa di diverso e assolutamente originale. Un altro titolo fatto con sentimento e un’altra scommessa da vincere. Bè, la scommessa è stata vinta di nuovo.

“Some mountains are scaled; others are slain” – “Courage can move mountains”. Con questi slogan veniva pubblicizzato Shadow of the Colossus.

Un giovane, in sella al suo cavallo, porta una ragazza morta in un tempio, situato nel mezzo di una sconfinata terra dimenticata dal mondo, ove l’uomo non dovrebbe mettere piede. Wander, questo il nome del giovane, posa la sua amata sull’altare del tempio e chiede ai Dormin, entità che vigilano sulle anime dei morti, di riportarla in vita. Tali entità, come è facile aspettarsi chiedono qualcosa in cambio, ovvero l’uccisione di 16 enormi creature, non a caso chiamate colossi. Wander, armato di una spada antica che non avrebbe mai dovuto impugnare, accetta, ma è avvisato: il prezzo da pagare sarà alto.

Ecco dunque lo scopo del gioco: uccidere i 16 colossi. Per far ciò saremo armati solo della spada e di un arco dalle frecce illimitate. Grazie ad Agro, il nostro fido cavallo, andremo a zonzo per valli sconfinate e inesplorate, con lo scopo di stanare le gigantesche vittime del patto. Ad aiutarci nel localizzare i colossi, oltre agli indizi dei Dormin, avremo la nostra spada, la quale riflette i raggi del sole verso la zona in cui è situato il colosso di turno.

Gli scontri con i colossi, uno più epico dell’altro, si svolgono analizzando la struttura fisica della creatura scovandone i punti deboli, rappresentati da un emblema luminoso situato in uno o più punti della peluria, e studiando l’ambiente circostante per trovare la strategia d’attacco migliore. Infatti, una volta analizzato il campo di battaglia, bisogna trovare il modo di aggrapparsi al colosso e letteralmente scalarlo fino a scovarne i punti deboli. E’ proprio in questi che va affondata la spada fino alla disfatta del nemico. Per ogni scontro la strategia sarà diversa, rendendo il tutto assolutamente entusiasmante ed epico. Ovviamente i colossi non se ne staranno con le mani in mano, ma ci ostacoleranno in tutti i modi possibili: calpestandoci, sferrandoci pugni, incornandoci ed eventualmente colpendoci con le armi di cui sono dotati. Quando invece saremo aggrappati ai loro corpi, si scuoteranno nel tentativo di farci perdere la presa, lasciandoci precipitare. A tutto ciò si aggiungono due importanti indicatori: naturalmente la barra dell’energia e poi l’altrettanto importante barra della resistenza; quest’ultima indica la forza che permette al protagonista di aggrapparsi, e quando giunge al limite, il nostro guerriero perderà la presa. Entrambe possono essere rimpinguate, rispettivamente mangiando i frutti degli alberi, e uccidendo lucertole a suon di frecce.

Graficamente SOTC spreme al massimo l’hardware di PS2, restando sui livelli eccelsi di Ico, tralasciando i soliti difettucci dovuti ai limiti tecnici del monolite. Perciò personaggi, ambientazioni e colossi lasciano continuamente a bocca aperta, riportando alla memoria la magnificenza del suo predecessore spirituale.

Anche la colonna sonora non si discosta troppo da quella di Ico. Durante le scampagnate a cavallo la fanno da padrone i suoni della natura, mentre durante i combattimenti viene lasciato spazio a vere e proprie musiche, le quali diventano progressivamente sempre più incalzanti e adrenaliniche durante i combattimenti, per poi passare ad altre più melodiche e rilassanti, al termine di ogni scontro.

Passando ai difetti, siamo in presenza di una telecamera a volte capricciosa, cosa sgradevole durante i combattimenti; ma basta prenderci la mano per non farci quasi nemmeno caso. L’altro punto a sfavore risiede nella particolarità e nell’originalità del gioco, che non potrà essere apprezzato da tutti. Dopotutto oltre agli scontri con i colossi non vi è più nulla a livello di gameplay e ciò sicuramente farà storcere il naso a più di qualcuno.

Shadow of the Colossus, al pari di Ico, non è un semplice videogioco, ma un’esperienza. Non va semplicemente giocato, va vissuto. E’ una di quelle perle che, per quanto non sarà compresa da tutti, è capace di lasciare nel giocatore sensazioni ed emozioni uniche nel loro genere e difficili da dimenticare.

Ico e Shadow of the Colossus. Giocateci perché meritano di essere giocati. Giocateci perché se amate il medium videoulico, meritate di giocarci.

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