Le storie 11 – Il Lungo Inverno

La bellezza della collana Le Storie sta proprio nel fatto che ogni mese si muta scenario, si cambia epoca e si creano nuovi personaggi. Il lettore per gustarsi il fumetto non deve seguire articolati schemi narrativi, anzi in un certo qual modo forse, la casa editrice milanese punta ad ampliare il mercato e a vendere pure ai lettori casuali, o comunque non appassionati agli eroi su carta. Se così fosse, l’intenzione mi parrebbe comunque encomiabile. 

L’albo di questo mese, Il lungo inverno, scritto dallo sceneggiatore Giovanni Di Gregorio è ambientato nel 1933, in Svezia. Il protagonista è Svensson, un botanico che decide di curare la fastidiosa dermatite che lo tormenta in una clinica termale situata nella remota regione della Lapponia. Le cure all’inizio sembrano giovargli, e nonostante alcuni strani particolari manifestatisi col passare dei giorni lo inquietino, Svensson appare ben integrato nella piccola e bizzarra comunità che anima la clinica. Infatti oltre al personale medico sono presenti nella struttura altri degenti: Hommerberg, un ex-colonnello dell’esercito con un debole per i francobolli; Haggkvist, un ciarliero pittore che cerca di affermarsi nell’ambiente artistico; una madre – la signora Landgren – fin troppo apprensiva con i suoi figli; e per finire una misteriosa ragazza di nome Heidenstam che non ama particolarmente parlare o stare in compagnia.

La scomparsa dei figli della signora Landgren innesca una reazione a catena che sconvolge in pochi giorni tutta la comunità. Il freddo tepore nordico che sembrava fornire un rifugio agli ospiti delle terme, diventa di colpo una gelida prigione. Gli ospiti cominciano a comportarsi in maniera strana, e il botanico prova, per quanto sia nelle sue possibilità, a indagare sugli avvenimenti.

Questo almeno finché non si arriva alla rivelazione finale, forse non sconvolgente, ma nemmeno scontata, che ovviamente qui non anticipo.

La trama appare convincente ed è solo apparentemente semplice. Si potrebbe dire che, pur non mancando spunti avvincenti, la narrazione sia più incentrata sul protagonista, molto ben definito, che sugli eventi. Persino i personaggi secondari sono descritti con una precisione non comune, e per di più questi agiscono in modo determinante sulla narrazione. In aggiunta l’atmosfera iniziale, di apparente quiete, è resa molto bene sia nei dialoghi che nei pensieri di Svensson. Tuttavia sarebbe riduttivo pensare a questa storia semplicemente come a un drammone psicologico – per intenderci alla Bergman, o anche al giallo a forti tinte psicanalitiche come Io ti salverò di Hitchcockdal momento che mai forse come in questo numero siamo di fronte a una mescolanza di generi:  la storia è tanto un giallo, quanto una storia d’amore, quanto una dramma tragico. Anche i dialoghi mi sono sembrati sempre molto scorrevoli e spontanei. Insomma questa potrebbe essere la storia migliore scritta da Di Gregorio.

Un’altra particolarità de Il Lungo Inverno  è che l’azione vera e propria, seppur presente come sempre, sembra avere un ruolo meno decisivo rispetto agli altri numeri. I personaggi agiscono sì, ma la molla che li muove ha spesso origine all’interno del personaggio stesso, non c’è il fattore esterno che cambia radicalmente la storia, come una bomba che scoppia all’improvviso. Poi, a questo stesso proposito è bene anche rimarcare che questa è la prima storia della collana che rispetta sostanzialmente le tre unità aristoteliche (di tempo, spazio e luogo), insomma quasi alla stregua di un dramma teatrale. Magari non sarebbe fuori luogo ipotizzare che lo sceneggiatore, allo scopo di scandagliare bene l’animo dei suoi personaggi, abbia dato una lettura fugace alle opere di due celebri drammaturghi scandinavi: Strindberg e Ibsen, entrambi appassionati conoscitori della natura umana.

I disegni di Francesco Ripoli sono molto buoni, l’artista – credo semi-debuttante in casa Bonelli – mostra tutte le sue qualità di autore raffinato. Le atmosfere cupe e desolate del profondo Nord Europa risaltano in maniera notevole nelle panoramiche. Allo stesso tempo gli interni danno bene l’idea dell’ambiente algido, accogliente ma poco confortevole, come immagino doveva essere una clinica termale svedese negli anni trenta del secolo scorso. Inoltre i primi piani sono efficaci ed espressivi, ma è lo stile di Ripoli in generale che si sposa bene con la storia.

Una menzione particolare questo mese va fatta anche per la splendida copertina di Aldo Di Gennaro, la quale riesce nell’impresa di racchiudere in un solo disegno la malinconia e l’inquietudine che pervadono l’intero fumetto.

Personalmente giudico questo numero tra i più belli fin qui usciti, ma allo stesso tempo mi rendo conto che la trama non convenzionale, l’ambientazione insolita e la struttura narrativa particolare possano aver scoraggiato una grossa fetta di lettori più avvezzi all’azione che all’introspezione.

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