Man Of Steel – recensione

Secondo me c’è una schiera di sceneggiatori che si diverte a prenderci per il culo. E poi sono li, sui social network, armati anche di google traduttore, per leggere e ridere a crepapelle quando i fan e i detrattori si prendono a legnate per stabilire chi abbia ragione.
È palese, dai.
Perchè un film come Man of Steel non può, non deve, passare per un bel film. Sono stati scritti fiumi di parole su come e cosa debba essere una pellicola su un supereroe; alcuni hanno addirittura ipotizzato che i pagliacci mascherati non possono essere trasposti ma restare solo su carta. Perchè funzionano solo li ed a dire il vero non hanno tutti i torti. Ma come sempre: dipende dai casi.

Nel mondo dei super eroi su celluloide, semplificando, si può ridurre il campo a due filosofie: chi sceglie di prendersi sul serio e chi no. Del primo filone fa parte, come tutti ormai hanno assodato, la trilogia di Batman e del secondo, invece, Iron Man. Poi ci sono le porcate idiote come Lanterna Verde, Catwoman, Elektra che hanno avuto uno sviluppo talmente ridicolo da farmi gridare allo stupro. Ma questo è un altro discorso.

Come scrivevo poc’anzi, dunque, il problema di chi si prende sul serio è semplice e immediato: al primo errore si è fuori. Beh, è chiaro: anche noi quando siamo di fronte ad una persona che pecca di autoironia la prima idiozia è subito evidente. Ed infatti, senza dilungarmi troppo, il Batman di Nolan ha sofferto delle pecche nella sceneggiatura che lo hanno reso in alcuni casi ridicolo e in altri pretenzioso. Guardate poi The Avengers, colmo anch’esso di incoerenze, ma molto meno evidenti perchè divertente.
Viviamo in tempi poi in cui il cinismo graffia la nostra esistenza e non ci permette di sognare; anzi un certo tipo di fantasia appare anche stucchevole. Ed ecco, come è giusto che sia, che il cinema ne risenta.

I supereroi diventano qualcos’altro, l’idealismo che trabocca dalle loro storie si opacizza e il realismo prende il suo posto. E quindi diventa ancora più difficile riuscire a rendere l’idea di un personaggio onnipotente che diventa fragile per nascondersi tra gli uomini. E difenderli. Inviso a molta gente per la sua apparente invincibilità, inutile per altri, l’uomo d’acciaio soffre infatti di un pregiudizio. Peccato perchè non sia così. E per una breve summa della sua filosofia rimando alla visione del discorso di Bill in Kill Bill vol. 2. Che anche se rende solo una parte dell’idea del fumetto, la centra in pieno. Mentre per chi avesse più tempo rimando alla visione dei primi due capitoli della saga Superman di Donner.

La saga di Donner, appunto. Se c’è, infatti, una delle più belle opere tratte dal fumetto è proprio quella. Un’opera straordinaria che è riuscita a cogliere gli aspetti più belli e rendergli maestosi. Con Donner, Puzo e Reeve. Un lavoro straordinario studiato a puntino partendo dalla tagline “crederete che un uomo possa volare”. Il realismo rivisto in chiave fantastica. Un controsenso? Non necessariamente. Man of Steel, invece, è un prodotto partorito da un regista capace e uno sceneggiatore incompetente. Scritto male, colmo di incoerenze e mediocre. Ha un concept design orrendo: gli animali su Kripton, le armature stile power rangers dei kriptoniani, le capsule falliche nelle quali sono imprigionati Zod e i suoi soldati. I flashback “che saranno anche belli ma ci hanno rotto un po’ i coglioni”. Le scene patetiche: la morte ridicola di un personaggio. Le illuminazioni che salvano il mondo; Independence Day è più credibile.

Zack Snyder abbandona il suo stile registico, i rallenty, per uno più sobrio ma che lascia il tempo che trova; perchè, pur avendo girato bene, in molti casi risulta essere confuso. E troppo. Gli attori non funzionano quanto dovrebbero; salvo giusto Cavill che è un bel superman e anche Russel Crowe. Per il resto niente di buono. Così il tentativo di rendere realistico, abbandonando la kriptonite ad esempio, risulta essere intriso di quello stupido cavallo di battaglia del nuovo modo di rendere appetibili i super eroi: quel maldestro compromesso con quel pubblico che giudica idiota e infantile il fumetto. E allora lo si trasforma in attualità. E come? Trovando l’ispirazione nel manuale dei disturbi psichiatrici nei capitoli: paranoia e depressione. Perché solo così lo spettatore medio potrà trovarlo più vicino ai suoi tempi e più maturo e quindi più serio.

Ma si dimentica che operando in questo modo si scade nel patetico, trasformando la realtà in un surrogato della realtà stessa. Che, in fin dei conti, fa più ridere a chi ci prende per il culo.

marcodemitri®

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